La depressione post partum è un fenomeno che è venuto alla luce con particolare forza negli ultimi anni. L’opinione pubblica ha scoperto con grande turbamento che le madri possono addirittura arrivare ad uccidere i propri figli. Questo comportamento è tanto più sconcertante se si pensa che sono proprio le madri ad avere il compito di far nascere i figli, di proteggerli dai pericoli esterni e di farli crescere per poi entrare nel mondo adulto. Cerchiamo allora insieme di capire quali sono le dinamiche psicologiche che portano una mamma ad entrare in questo vortice di pensieri e sentimenti negativi nel rapporto con il suo bambino.
Il passaggio dal periodo della gravidanza a quello dell’essere madre è particolarmente delicato, è in questo momento che la mamma deve iniziare a distinguere tra fantasie inconsce e realtà, rispetto al neonato e al mondo che la circonda. In questo primo periodo è assolutamente normale avvertire in alcuni momenti moti di rabbia o frustrazione nei confronti del bambino. Se pensiamo per esempio ad un bambino che si svegli spesso la notte, o rifiuti di mangiare, possiamo capire che tutto questo può mettere i neogenitori a dura prova e, dal momento che siamo tutti esseri umani coi nostri limiti, è normale provare a volte anche sentimenti negativi. In situazioni normali, questi pensieri vengono facilmente represse dalla madre, anche attraverso l’uso di meccanismi di difesa evoluti, come l’autoironia. Nonostante questo, nel contesto della nostra società è purtroppo radicato lo stereotipo per cui la neomadre deve solamente gioire della propria maternità, senza esprimere alcun tipo di turbamento. Per questo motivo, emozioni e pensieri del tutto normali e “umani” non sono facilmente accettati dalla donna e ancor più dalle persone che le sono accanto e tendono ad essere negati, per lasciare il posto ad un’immagine di serenità e dedizione totale che non corrisponde però alla realtà dei fatti.
Dicevamo quindi che il divenire genitori implica un processo di elaborazione e di riorganizzazione della personalità, l’acquisizione del ruolo materno e l’attivazione del sistema di accudimento del bambino. Questi processi psichici sono solitamente elaborati durante la gravidanza e nei primi mesi di vita del bebè a livello inconscio dalla donna. Nei casi in cui questa elaborazione non avvenga o si attui soltanto parzialmente, possono avere origine quadri psicopatologici più o meno gravi. Solitamente si distinguono tre tipi principali di condizioni che la neomadre può trovarsi a vivere:
- il maternity blues o baby blues
- la depressione post-partum
- la psicosi puerperale
Il “maternity blues” è un lieve disturbo transitorio di cui soffre più della metà delle donne occidentali nei giorni immediatamente seguenti il parto. E’ caratterizzato da crisi di pianto, oscillazioni del tono dell’umore e ipersensibilità che si accentuano intorno al quinto giorno dopo il parto e tendono a durare alcune ore o alcuni giorni.
Il quadro clinico della depressione post-partum è caratterizzato invece da sentimenti d’inadeguatezza, d’incompetenza e di disperazione, collera, ipersensibilità, ansia, vergogna, odio e trascuratezza verso se stesse e verso il bambino, disturbi del sonno e dell’appetito, calo del desiderio sessuale e pensieri suicidari.
Oltre alla ovvia motivazione ormonale, dovuta al brusco riassestamento dei livelli ormonali dopo il parto, esistono secondo la letteratura alcuni fattori predisponenti allo sviluppo di una depressione post partum, tra cui l’aver perso la propria madre prima degli 11 anni, la mancanza di una relazione intima coniugale, la mancanza di un lavoro retribuito e la presenza in famiglia di tre o più figli sotto i 14 anni.
Lo stato depressivo della madre va naturalmente ad influenzare la relazione madre-bambino: in questa situazione, infatti, la madre, pur essendo fisicamente presente col suo bambino, non lo è a livello emozionale, tende ad essere “inaccessibile” all’interazione con lui, non “rispecchia” il comportamento del neonato e il gioco reciproco tende ad essere sporadico, interrotto e caratterizzato da un basso tono emotivo.
In alcuni tipi di personalità invece l’evento della maternità può portare degli squilibri così profondi da generare una psicosi puerperale. In questo stato la neomadre mostra un ritiro in sè stessa, è triste, rifiuta completamente il suo bambino, è apatica, trasandata, trascura la sua igiene personale, mostra insonnia e inappetenza. Può riferire allucinazioni, per lo più uditive, e idee deliranti di tipo paranoide. Questo stato può avere una remissione spontanea e può durare qualche giorno, mese o anno. Nel caso di remissione spontanea gioca un ruolo fondamentale la capacità dei famigliari di tollerare, assorbire e rielaborare l’angoscia della neomamma. Tra le manifestazioni più allarmanti relative a questo stato vi sono i tentativi di suicidio o le spinte aggressive o distruttive nei confronti del bambino. Bisogna però sottolineare che il più delle volte la donna, prima di arrivare a comportamenti di tale gravità, esplicita il proprio bisogno d’aiuto. Se questa espressione di sofferenza non viene ascoltata per l’assenza di un ambiente famigliare sufficientemente supportivo, la rabbia e il desiderio di uccidere il bambino può diventare molto forte. Alla base di questo desiderio c’è nella madre la fantasia inconscia che il bambino soffre e soffrirà sempre di più: solo la morte quindi, può salvarlo. Vediamo quindi come, seppur in modo drammaticamente distorto, anche in questo caso sia l’amore che la madre prova per il suo bambino a spingerla a compiere un gesto così terribile.
Il quadro che ho cercato di dare è ovviamente molto limitato, questi sono argomenti che richiederebbero un’elaborazione molto più estesa, ma spero che possa comunque essere utile per avere un’idea generale di questi fenomeni, purtroppo più diffusi di quanto si creda o si preferisca credere.